Lectio Magistralis Prof. MARC AUGÉ – Festival della Geografia Bardolino 2016
Lectio Magistralis Prof. MARC AUGÉ – Festival della Geografia Bardolino 2016

Lectio Magistralis Prof. MARC AUGÉ – Festival della Geografia Bardolino 2016

Lectio Magistralis Prof. MARC AUGÉ

 

(impossibile registrare audio interprete inizio intervento)

……. perché stiamo prendendo coscienza, certamente in modo approssimativo, del carattere relativamente ristretto del sistema solare. Infatti ci sono miliardi di sistemi solari nella nostro galassia e miliardi di galassie nell’universo.

In questo modo, più le nostre conoscenze aumentano, più l’immaginazione acquisisce una velocità ed è battuta in qualche modo in velocità dalla realtà.

Le antiche cosmologie avevano tentato di inserire nello spazio celeste più visibile le figure emblematiche della società divina: Marte, Giove, Nettuno. Dare un nome alle cose sulla terra in qualche modo significa appropriarsene. E’ un modo di colonizzare lo spazio attraverso l’immaginazione proiettandovi le grandi figure della mitologia umana. La via lattea stessa, la galassia di cui facciamo parte, è stata presa dalla terra come uno schizzo di latte dal seno di Era che allattava Eracle.

Questo tipo di appropriazione simbolica è legata a una concezione molto antropocentrica dell’universo e anche a culture che rivendicano più o meno esplicitamente il monopolio dell’umanità. Il luogo assoluto, centro dell’universo e del pianeta, è quello che risulta dalle cosmogonie che si ritrovano nelle rappresentazioni greche, egiziane, africane, amerindie o altre. Si tratta del luogo antropologico che definisce i legami sociali del gruppo attraverso regole di residenza e di filiazione molto rigide. Possiamo quindi immaginare gli sconvolgimenti che hanno continuato a causare questi cambiamenti di scala e che stiamo vivendo attualmente, che ci fanno vivere un’inversione completa di prospettiva. L’ideologia del luogo, diffusore di senso e di relazione, viene scalciata da questa scentratura che ci impone la verità della macrofisica.

Ad essere sincero, non sono sicuro che la distinzione che avevo proposto in passato da tra luogo e non-luogo sia realmente pertinente per analizzare il nuovo status quo: il non-luogo opposto tra luogo e non-luogo è in qualche modo il deserto rispetto al troppo pieno, era l’assenza di relazioni sociali simboleggiate e prescritte, leggibili in uno spazio dato. Inizialmente si trattava di una distinzione classicamente etnologica tra gli spazi su cui si possono leggere le linee dell’organizzazione sociale di un gruppo umano, a partire chiaramente dalle regole di residenza più o meno esplicite, per misurare il grado di coesione a partire da simboli collettivi, come ad esempio quelli religiosi, e gli spazi su cui tale lettura non è possibile. Il luogo si definiva in quest’ottica come l’espressione geografica e leggibile del legame sociale anche nella dimensione storica. Di contro il non-luogo si identificava con gli spazi di circolazione, di consumo, di comunicazione, che sono delle peculiarità della nostra surmodernità o supermordernismo; modernità di oggi intesa come un’accelerazione dei processi per far apparire la modernità del ventunesimo secolo, quindi individualizzazione dei punti di riferimento, una sovrabbondanza situazionale e spaziale. Ad esempio gli aeroporti, i supermercati, le immagini diffuse dalla televisione, da internet: erano in prima analisi definibili come non-luoghi.

Senza tornare sulle discussioni che possono essere sollevate da questa discussione, non vi è non-luogo o luogo in senso assoluto del termine, quale differenza esiste tra una relazione sociale simbolizzata alla comunicazione, quale si viene a creare tra ciò che oggi chiamiamo i social network, e vorrei qui insistere ancora una volta sul cambiamento di scala che sta caratterizzando tutte le attività umane, e che permette di definire il non-luogo piuttosto come un contesto, quindi è sulla caratteristica contestuale del non-luogo che vorrei insistere. Oggi siamo in grado di immaginare e di concepire ciò che potrebbe essere una società umana planetaria, un società di terrestri. Forse stiamo vivendo non tanto ciò che Fukuyama aveva chiamato la fine della storia, quanto piuttosto la fine della preistoria della società umana quale società planetaria. Vorrei prendere per l’appunto come simbolo di questo cambiamento di scala i progetti di turismo spaziale di cui vi parlavo all’inizio del mio intervento, che propongono una vista incomparabile sul mare, sulla montagna e sul pianeta Terra stesso. Turisti che sono abbastanza facoltosi da poterselo permettere hanno già prenotato il proprio posto per contemplare il pianeta Terra da centinaia di chilometri di altezza. Ci sono diversi progetti in questo senso; alcuni insuccessi sembrano ritardare l’avvento del turismo spaziale ma prima o poi vedrà la luce. E nello sguardo di questi turisti la terra come apparirà? Come un luogo o come un non-luogo?

Questi privilegiati potranno forse considerarsi come veri terrestri, ma per l’uomo comune, per il comune dei mortali, faranno parte di un nuovo contesto e dell’oligarchia degli abbienti, per i quali il pianeta è un non-luogo che percorrono in tutti i sensi, dove hanno relazioni con altri o in cui i punti di riferimento familiari diventano qualcosa di diverso. In altri termini, agli occhi della maggioranza questi turisti saranno un contesto.

Possiamo considerare la grande città attuale come una città-mondo, come una città-mondo in cui possiamo leggere differenze, ineguaglianze sociali. Oggi una grande città è composta da quartiere in cui si possono distinguere i ricchi dai più poveri, un luogo in questo senso, perché c’è una lettura possibile della società proprio attraverso lo spazio. Ma questa città-mondo ha per contesto il mondo-città, ovvero il mondo concepito come una specie di grande città. E’ il mondo della circolazione, delle tecnologie, del consumo, che vediamo quotidianamente sui nostri schermi e che appare come il mondo di tutti e che non è in sostanza il mondo di nessuno, un non-mondo in questo senso, senza un misura comune con la nostra esperienza diretta del quotidiano.

Quindi le immagini che vediamo sul nostro pianeta fanno parte di questo insieme. Ciò che suscita la curiosità oggi nelle immagini che ci vengono proposte dagli astronauti è il vocabolario familiare che si applica ai paesaggi che vengono intravisti di questi pianeti della nostra galassia: montagne, valli, faglie, oceani, ghiacciai. Allora possiamo chiederci che cosa significano questi termini, possiamo farci delle domande sull’acqua su Marte e per quanto siano lontani, per quante incertezze continuiamo ad avere su questi pianeti, sono oggetto della nostra aspettativa, l’immagine di un futuro lontano ma possibile. Ci proiettano in spazi che non sono ancora né luoghi, né non-luoghi. Più esattamente sono dei luoghi possibili che non sono ancora dei non-luoghi, ma che fanno riaffiorare l’idea di una nuova frontiera che è sempre attrattiva e affascinante. Nulla ci è più familiare degli spazi che vengono mostrati in televisione, parti di Marte che vengono esplorate, parti della Luna che vengono esplorate dall’uomo o delle parti di Marte che vengono esplorate dai robot. Tutto quindi ci porta a credere che il giorno in cui entreremo in contatto prolungato con un pianeta, che sia abituato o no, ci sorprenderà innanzitutto grazie alla sua aria “déjà vu”.

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